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lunedì 15 ottobre 2012

Hasta la muerte siempre. Juan of the dead.


Prendete L’Avana. Ora riempitela di mostri. No, non intendo quelli che vanno a fare turismo sessuale. Sto parlando di zombi.
Adesso aggiungete un giovane Franco Battiato, un erotomane figlio dell’amore tra Ugo Conti e Lillo di Lillo & Greg, un Enrique Iglesias un po’ meno tamarro, un travestito e una specie di gigantesco buttafuori che sviene alla vista del sangue. Questa è la banda di Juan de los muertos, che per pochi soldi vi libera dei vostri cari. Vostri cari zombi, si intende.
Prima di parlarvi del film una premessa: se volete farmi passare una bella serata, portatemi al cinema; se volete che ci vediamo una seconda volta, portatemi a vedere un horror; ma se volete che la serata finisca con me che vi preparo un caffè al mattino, portatemi a vedere qualsiasi cosa abbia degli zombi dentro. Insomma, se ci sono dei morti viventi, per me un bel 7 è il voto da cui partire.
Quando ho finito di vedere “Juan of the dead”, ero così entusiasta che avrei voluto prendere il regista e sceneggiatore, Alejandro Brugués, e fare all’amore con lui. Perché qui parliamo di genio. Perché se pensi un film dove metti gli zombi a L’Avana e fai dire a governo e media che si tratta di dissidenti pagati dagli americani, allora sei un cazzo di genio. E basta.
La trama: i morti viventi si diffondono a Cuba. Juan e i suoi amici, abituati a campare d'espedienti, annusano la possibilità di far soldi mettendo su una piccola impresa di pulizia-morti. Tentando di non morire in corso d'opera.  
Fossi in voi lo starei già scaricando, ma voglio buttarvi là qualche altro osso.

1)  Il protagonista, Juan: già in quanto eroe di un horror deve essere maschio alfa per proteggere il gruppo; ma lui è pure latino. In pratica alfa al quadrato. Uno che mette al primo posto per la sopravvivenza le scorte di rum. Io lo amo.
2)   China, ossia il travestito. Sue alcune delle battute migliori, come quella al minuto 50, di fronte a un capo militare: “Quando Dio ha distribuito il cazzo, lo ha dato tutto a lui”. Sue alcune delle uccisioni più divertenti in coppia col buttafuori svenevole (che combatte bendato. Capite, BENDATO). E sua la zombizzazione migliore (sì, spoiler. Tanto lo sapete che non possono sopravvivere tutti in un horror. E China viene sostituita da Camila, figlia di Juan, che per i 92 minuti di film ha il ruolo di quella che fa cadere l’autostima delle spettatrici).
3)  Fotografia, effetti speciali e colonna sonora. La prima, bellissima, virata verso un caldo giallo malato e sudaticcio; i secondi, spettacolari, con ammiccamenti a Matrix ed echi tarantiniani; la terza, che sembra uscita da un poliziesco anni’70 e che culmina con “My way” cantata da Sid Vicious sui titoli di coda, realizzati come una graphic novel e con una chicca finale che giuro volevo piangere di gioia.
4) Il titolo della pellicola. Un hommage al Maestro, una captatio benevolentiae che non serve, ma aiuta.
5)  La brillante satira politica. Sia attraverso le battute dei personaggi, sia attraverso varie sequenze visive, con cartelloni che inneggiano alla rivoluzione che crollano e altre amenità. Come ho già detto qui, nella visione illuminata del Maestro, parlare di zombi significa parlare della nostra società, criticandola ferocemente. E Brugués ha capito la lezione.
6)  Fa ridere. Tanto.
7)  La perla. La morte al minuto 82. Come ben sapete, per uccidere gli zombi bisogna mirare al “cervello”. Diciamo solo che ci sono diverse strade per arrivarci. E che qui hanno scelto la più lunga.

Bene, io ho finito. E adesso scusatemi, ma Alejandro reclama il suo caffè.

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