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giovedì 14 febbraio 2013

My Bloody Valentine. L’antitesi dell’amore è la paura.


Milano, una mattina qualsiasi di metà febbraio.
Tra me e la fermata della metro si frappongono negozi di varia natura: il solito bar, il solito tabaccaio, la solita cartoleria.
Ma oggi mi accorgo che il loro aspetto è cambiato: tutte le vetrine, un tempo più o meno sobrie, sono state invase da torte a forma di cuore, peluche a forma di cuore, oggettini dallo scopo incerto. Ma di certo a forma di cuore.
È fatta, penso: approfittando del temporaneo vuoto di potere, Tiffany Young ha preso il comando del Belpaese. Un colpo di stato e via: condannati per sempre a una vita rosa shocking.
Ma mi sbaglio. Avete presente quelle scene in cui il protagonista del film scopre qualcosa di fondamentale, attraverso un’escalation di drammatici close-up? Ecco, è così che metto a fuoco la scritta sull’ennesima vetrina: SAN VALENTINO. In effetti, l’unico evento in grado di scatenare una simile epidemia di romanticismo e cattivo gusto.
Che diamine, sarebbe stata meglio Tiffany.

Capiamoci: non c’è nulla di male nell’esternare il proprio amore. Finché questa esternazione si consuma a porte chiuse, con una certa qual pudica grazia. E in definitiva, lontano dagli occhi di chi, il 14 Febbraio, lo passerà in compagnia del proprio gatto.  

Ma quest’anno, cari/e single per scelta di terzi, vi propongo un piano perfetto per sopravvivere a San Valentino. E intendo sopravvivere senza regalare ai produttori di superalcolici e Nutella il 70% del loro incasso annuale.

Pensateci: il sentimento più lontano dall’amore, nei fatti, non è il disprezzo. È la paura. Per cui niente di meglio che immergersi in una maratona horror, per scongiurare la tristezza da solitudine. Ve lo assicuro: dopo queste visioni, il prossimo non vi apparirà più come potenziale metà della vostra mela. Ma piuttosto come potenziale adepto di Satana e/o untore di morbi deturpanti. E se il 14 febbraio deciderete di chiudervi in casa, sarà solo per installare telecamere di sicurezza (una per mq), sigillare porte e finestre e contattare un prete compiacente, che vi anticipi la benedizione pasquale.


American Horror Story - Asylum 
Io, con l’ultima puntata, ho pianto. E non perché mi commuova vedere corpi umani squartati e suore ninfomani. Ma perché Asylum gronda tanto sangue quanto pessimismo.
Ambizione, lussuria, invidia: in Asylum ogni debolezza umana viene amplificata a psicosi. La seconda stagione di AHS ruota infatti attorno a Briarcliff: un ospedale psichiatrico dei primi anni ’60, il vero protagonista della storia. E tra le sue mura, impareremo a conoscere ogni possibile sfumatura di infelicità.
Insomma, puntata dopo puntata, vi ritroverete a canticchiare “L’impresa eccezionale è essere normale”. Esemplare in tal senso è il personaggio di Sister Jude, splendidamente interpretato da Jessica Lange. Se nelle prime puntate di Asylum, infatti, Jude ci si presenta come la sadica manager di Briarcliff, presto la ritroveremo nell’insospettabile ruolo di paziente, vittima della sua stessa creatura.
E non sorprende che, nonostante il climax di possessioni demoniache e rapimenti alieni, siano proprio le parole di Sister Jude a svelarci la vera morale di Asylum: “All monsters are human”.

The Bay

Hi there!
Ecco, sarebbe stato carino se questo film avesse previsto nei titoli di testa due righe di warning. Qualcosa tipo: “Attenzione! Non è la solita storia di un contagio disgustoso che si diffonde a macchia d’olio! Non guardatelo con spensieratezza, pensando che sia la solita minchiata!”.

Invece nulla: ingenuamente, l’ho guardato aspettandomi la solita minchiata. Alla fine del film mi sono così ritrovata preda di attacchi di ansia, ipocondria e voglia di abbracciare la mamma. Cosa abbia di speciale “The Bay” è difficile definirlo: sulla carta effettivamente è solo l’ennesimo mockumentary che racconta il diffondersi, in una cittadina del Maryland, del morbo Serbelloni Mazzanti Viendalmare – ché il nome latino non lo ricordo, ma ricordo benissimo che la magagna arriva dall’acqua.

Solo che la faccenda è messa giù in modo talmente realistico e talmente ansiogeno che vi sembrerà di essere lì a soffrire con i poveracci infetti. E soprattutto scoprirete di avere parecchie bolle sospette sul corpo.


The Following
Una serie di cui, se avete tutti i sensi a posto, avrete già letto e sentito parecchio. Io sono qui per confermarvi che sì, per una volta i vostri amici non vi hanno detto una cazzata: tutti quegli status/tweet/post entusiasti riguardo The Following hanno la loro ragion d’essere.

Ucciderai per me perché sono bello.
Se l’obiettivo di questa maratona anti-San Valentino è quello di arrivare a benedire la solitudine, forse sarà proprio questa serie a convincervi definitivamente di essere dei privilegiati. In sintesi: non fidatevi di nessuno, perché ci sono ottime probabilità che chiunque intorno a voi sia in combutta con un serial killer. Un serial killer catturato, condannato, imprigionato e fatto oggetto di culto da gente pazza che, dall’esterno, uccide per lui. Ma tranquilli: Kavin Bacon si sta dando parecchio da fare al riguardo.
Certo, molto spesso si attiva quando ormai vi hanno già cavato entrambi gli occhi ma hey, non mettetegli troppa pressione.


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